Parecchi pacchetti software per i vari dialetti di UNIX e Linux sono dati come archivi compressi di file sorgenti. Lo stesso pacchetto può essere "compilato" per girare su differenti macchine fissate, e ciò risparmia l'autore del software dal dover produrre versioni multiple. Una singola versione di un pacchetto software può così finire col girare, in varie incarnazioni, su una macchina Intel, un DEC Alpha, una workstation RISC, o anche un mainframe. Sfortunatamente, questo scarica la responsabilità della effettiva "compilazione" ed installazione del software sull'utente finale, l'«amministratore di sistema» de facto, il tizio seduto alla tastiera -- voi. Fatevi coraggio, comunque, il processo non è poi così terrificante o misterioso come sembra, come dimostrerà questa guida.
Avete scaricato o vi siete procurati in altro modo un pacchetto software.
Molto probabilmente è archiviato (in formato tar) e compresso
(in formato gzip), e quindi il nome del file terminerà con
.tar.gz
o .tgz
(N.d.T: Gli archivi tar compressi, in inglese,
vengono colloquialmente detti "tarball", d'ora in poi ci riferiremo ad
essi come "pacchetti tar"). Innanzi tutto copiatelo in una directory di
lavoro. Poi decomprimetelo (con gunzip) e spacchettatelo (con
tar). Il comando appropriato per farlo è tar xzvf
nomefile, dove nomefile è il nome del file,
ovviamente. Il processo di dearchiviazione generalmente installerà i
file appropriati nelle sottodirectory che avrà creato. Notate che se
il nome del pacchetto ha suffisso .Z, la procedura su esposta
sarà ancora buona, sebbene funzioni anche eseguire uncompress,
seguito da tar xvf. Potete vedere un'anteprima di tale processo
con tar tzvf nomefile, che elenca i file contenuti nell'archivio
senza in effetti estrarli.
Il suddetto metodo per spacchettare i pacchetti tar è equivalente ad uno o l'altro dei seguenti:
stdin
.)
I file sorgenti nel nuovo formato bzip2 (.bz2
)
possono essere estratti con un bzip2 -cd nomefile | tar xvf -,
o, più semplicemente, con un tar xyvf nomefile, sempre
che tar
sia stato opportunamente corretto con l'apposita
patch (riferirsi al
Bzip2.HOWTO
(tradotto) per i dettagli).
La distribuzione Linux di Debian usa una diversa patch per tar
,
scritta da Hiroshi Takekawa, che, in quella particolare versione
di tar
, usa le opzioni -I, --bzip2, --bunzip2.
[Grazie tante a R. Brock Lynn e Fabrizio Stefani per le correzioni e gli aggiornamenti sull'informazione sopra citata]
A volte i file archiviati devono essere estratti, usando tar, ed installati
dalla home directory dell'utente, o magari in una cert'altra directory, tipo
/
, /usr/src
, o /opt
, come specificato nelle
informazioni di configurazione del pacchetto. Qualora si riceva un messaggio
di errore tentando l'estrazione dall'archivio, questa potrebbe esserne la
ragione. Leggete i file di documentazione del pacchetto, specialmente i file
README
e/o Install
, se presenti, ed editate i file di
configurazione e/o i Makefile
come necessario, consistentemente con
le istruzioni di installazione. Osservate che di solito non si
dovrebbe modificare il file Imake
, poiché ciò potrebbe
avere conseguenze impreviste. La maggior parte dei pacchetti permettono di
automatizzare questo processo eseguendo make install per mettere i
binari nelle appropriate aree di sistema.
shar
, o archivi shell,
specialmente sui newsgroup riguardanti il codice sorgente in Internet.
Questi vengono ancora usati perché sono in formato testo, e
ciò permette ai moderatori dei newsgroup di consultarli e respingere
quelli inadatti. Essi possono essere spacchettati col comando
unshar nomefile.shar.
Altrimenti la procedura per trattarli è la stessa dei pacchetti tar.
Occasionalmente, potrebbe essere necessario aggiungere delle correzioni
per dei bug o aggiornare i file sorgenti estratti da un archivio usando
un file patch
o diff
che elenca le modifiche. I file
di documentazione e/o README
vi informeranno se
ciò è necessario. La normale sintassi per invocare la potente
utilità di patch di Larry Wall è patch <
patchfile.
Ora potete procedere alla fase di compilazione del processo.
Il Makefile
è la chiave del processo di compilazione. Nella
sua forma più semplice, un Makefile è uno script per la
compilazione, o building, dei "binari", le parti eseguibili di un pacchetto.
Il Makefile può anche fornire un mezzo per aggiornare un pacchetto
software senza dover ricompilare ogni singolo file sorgente in esso, ma
questa è un'altra storia (o un altro articolo).
Ad un certo punto, il Makefile lancia cc
o gcc
. Questo
in realtà è un preprocessore, un compilatore C (o C++), ed un
linker, invocati in quell'ordine. Questo processo converte il sorgente nei
binari, i veri eseguibili.
L'invocazione di make di solito richiede solo di battere make. Ciò, generalmente, serve a compilare tutti i file eseguibili necessari per il pacchetto in questione. Tuttavia, make può svolgere anche altri compiti, come installare i file nelle loro directory appropriate (make install) e rimuovere i file oggetto stantii (make clean). L'esecuzione di make -n permette di vedere un'anteprima del processo di compilazione, poiché stampa tutti i comandi che sarebbero attivati da un make, ma senza in effetti eseguirli.
Solo i software più semplici usano un Makefile generico. Le
installazioni più complesse richiedono un Makefile su misura secondo
la posizione delle librerie, dei file include e delle risorse sulla vostra
specifica macchina. Questo, in particolare, è il caso che si ha quando
durante il processo di compilazione servono le librerie X11
per
l'installazione. Imake e xmkmf adempiono questo compito.
Un Imakefile
è, per citare la pagina di manuale, un
"prototipo" di Makefile. L'utilità imake costruisce un Makefile adatto
al vostro sistema dall'Imakefile. Nella maggior parte dei casi, tuttavia,
preferirete eseguire xmkmf, uno script shell che invoca imake,
un suo front end. Controllate il file README o INSTALL incluso
nell'archivio per istruzioni specifiche (se, dopo aver estratto
dall'archivio i file sorgenti, è presente un file Imake
nella
directory base, è un chiaro segno che dovrebbe essere eseguito
xmkmf). Leggere le pagine di manuale di Imake
e
xmkmf
per una più dettagliata analisi della procedura.
È bene essere consapevoli che xmkmf
e make
potrebbero
dover essere invocati come root, specialmente nel fare un make install
per spostare i binari sulle directory /usr/bin
o
/usr/local/bin
. Usare make come utente normale, senza privilegi di
root, porterà probabilmente a dei messaggi d'errore tipo write access
denied (accesso in scrittura negato), perché manca il permesso per
la scrittura nelle directory di sistema. Controllate anche che i binari creati
abbiano i giusti permessi di esecuzione per voi ed ogni altro utente
appropriato.
Quando viene invocato, xmkmf usa il file Imake
per
costruire il Makefile appropriato per il vostro sistema. Sarete
soliti invocare xmkmf con l'argomento -a, per effettuare
automaticamente make Makefiles, make includes e
make depend. Ciò imposta le variabili e definisce le posizioni
delle librerie per il compilatore ed il linker. A volte, non ci
sarà il file Imake
, ci sarà invece uno script
INSTALL
o configure
, che dovrebbe essere invocato come
./configure per assicurarsi che venga chiamato il giusto script
configure
. Nella maggior parte dei casi, il file README
incluso con la distribuzione spiegherà la procedura di installazione.
È di solito una buona idea guardare dentro il Makefile
che
xmkmf
, o uno degli script di installazione, costruiscono. Il
Makefile sarà di solito adatto per il vostro sistema, ma
occasionalmente potrebbe essere necessario "ritoccarlo" o correggere
manualmente degli errori.
Per installare i binari appena compilati nelle appropriate directory di
sistema di solito basta eseguire, come root, make install.
Solitamente, le directory per i binari del sistema sulle moderne
distribuzioni Linux sono /usr/bin
, /usr/X11R6/bin
, e
/usr/local/bin
. La directory da preferire per i nuovi pacchetti
è /usr/local/bin
, poiché in tal modo si terranno
separati i binari che non fanno parte della installazione Linux originale.
I pacchetti originariamente mirati per versioni commerciali di UNIX
potrebbero provare ad installarsi in /opt
o in un'altra directory
sconosciuta. Ciò, naturalmente, causerà un errore di
installazione se la directory in questione non esiste. Il modo
più semplice per risolvere questo problema è quello di creare,
come root, una directory /opt
, lasciare che il pacchetto vi si
installi, e poi aggiungere tale directory alla variabile d'ambiente
PATH
. Oppure, potete creare dei link simbolici alla directory
/usr/local/bin
.
La procedura di installazione generale sarà quindi:
README
ed altri file di documentazione
appropriati.INSTALL
o
configure
.Makefile
.Note:
Makefile
standard
incluso nel (o creato col) pacchetto che state installando delle
opzioni di ottimizzazione aggiuntive. Alcune di tali opzioni, le più usate, sono -O2,
-fomit-frame-pointer, -funroll-loops e -mpentium
(se usate un processore Pentium). Siate cauti e fatevi guidare dal buon senso
quando modificate un Makefile
!
/coll
e /pack
.
Potreste dover scaricare il Pack-Collection dal suddetto sito
qualora vi capiti di imbattervi in una di tali distribuzioni.La compilazione e l'installazione manuale dei pacchetti dal sorgente è un compito apparentemente così spaventoso per alcuni utenti Linux che essi hanno abbracciato i popolari formati di pacchetti rpm e deb, o il più recente Stampede slp. Sebbene possa essere vero che l'installazione di un rpm di solito procede tanto facilmente e tanto velocemente quanto l'installazione del software di un certo altro noto sistema operativo, è il caso di spendere qualche parola riguardo gli svantaggi della installazione-fai-da-te dei binari preimpacchettati.
Primo, sappiate che i pacchetti software vengono di solito rilasciati inizialmente come pacchetti tar, e i binari preimpacchettati li seguono giorni, settimane, persino mesi dopo. Un pacchetto rpm corrente è tipicamente almeno un paio di versioni minori indietro rispetto all'ultimo pacchetto tar. Quindi, se desiderate stare al passo con tutto il software dell'ultima generazione, potreste non voler aspettare che appaia un rpm o un deb. Alcuni pacchetti meno popolari potrebbero non essere mai convertiti in rpm.
Secondo, il pacchetto tar potrebbe facilmente essere più completo, avere più opzioni, e prestarsi meglio ad una personalizzazione ed una messa a punto. La versione binaria rpm potrebbe non avere alcune delle funzionalità della versione completa. Gli rpm sorgenti contengono il codice sorgente completo e sono equivalenti ai corrispondenti pacchetti tar, e allo stesso modo necessitano di essere compilati ed installati usando l'opzione rpm --recompile nomepacchetto.rpm oppure rpm --rebuild nomepacchetto.rpm.
Terzo, alcuni binari preimpacchettati non si installano bene, e anche se si installano, potrebbero piantarsi e fare un core dump. Essi potrebbero dipendere da versioni di libreria diverse da quelle presenti nel vostro sistema, o potrebbero essere stati preparati impropriamente o essere semplicemente difettosi. Ad ogni modo, quando installate un rpm o un deb necessariamente fate affidamento sulla competenza delle persone che hanno preparato quel pacchetto.
Infine, aiuta avere il codice sorgente in mano, per poter effettuare delle riparazioni ed imparare da esso. È molto più conveniente avere il sorgente nell'archivio da cui si stanno compilando i binari, piuttosto che in un differente pacchetto rpm.
L'installazione di un pacchetto rpm non è necessariamente una bazzecola. Se c'è un conflitto di dipendenza, l'installazione dell'rpm fallirà. L'rpm potrebbe richiedere una versione delle librerie diversa da quelle presenti sul vostro sistema, l'installazione potrebbe non funzionare, anche se create dei link simbolici alle librerie mancanti da quelle a posto. Malgrado la loro convenienza, le installazioni degli rpm spesso falliscono per le stesse ragioni per cui lo fanno quelle dei pacchetti tar.
Dovete installare gli rpm e i deb come root, per avere i necessari permessi di scrittura, e ciò apre un buco di sicurezza potenzialmente serio, poiché potreste inavvertitamente massacrare i binari di sistema e le librerie, o anche installare un cavallo di Troia che potrebbe liberare il caos sul vostro sistema. È quindi importante ottenere pacchetti rpm e deb da una "fonte fidata". In ogni caso, dovreste eseguire una 'verifica della firma' (rispetto ad un codice di controllo MD5) sul pacchetto, rpm --checksig nomepacchetto.rpm, prima di installarlo. Allo stesso modo è fortemente raccomandata l'esecuzione di rpm -K --nopgp nomepacchetto.rpm. I comandi corrispondenti per i pacchetti deb sono dpkg -I | --info nomepacchetto.deb e dpkg -e | --control nomepacchetto.deb.
rpm --checksig gnucash-1.1.23-4.i386.rpm
gnucash-1.1.23-4.i386.rpm: size md5 OK
rpm -K --nopgp gnucash-1.1.23-4.i386.rpm
gnucash-1.1.23-4.i386.rpm: size md5 OK
Per i tipi veramente paranoici (e in questo caso ci sarebbe molto da dire a proposito di paranoia), ci sono le utilità unrpm e rpmunpack disponibili presso la directory utils/package di Sunsite per estrarre e controllare i singoli componenti dei pacchetti.
Klee Diene ha scritto il pacchetto sperimentale dpkgcert, per la verifica dell'integrità dei file .deb installati, usando i codici di controllo MD5. È disponibile nell' archivio ftp Debian. L'attuale nome / versione è dpkgcert_0.2-4.1_all.deb. Il sito Jim Pick Software mantiene un server database sperimentale per fornire certificati dpkgcert per i pacchetti di una tipica installazione Debian.
Nella loro forma più semplice, i comandi rpm -i nomepacchetto.rpm e dpkg --install nomepacchetto.deb automaticamente aprono il pacchetto ed installano il software. Siate cauti, comunque, poiché usare tali comandi ciecamente può essere pericoloso per la salute del vostro sistema!
Notate che gli avvertimenti suddetti si applicano anche, sebbene in minor misura, all'utilità di installazione pkgtool della Slackware. Tutto il software di installazione "automatico" richiede cautela.
I programmi martian e alien permettono la conversione tra i formati dei pacchetti rpm, deb, Stampede slp e tar.gz. Ciò rende questi pacchetti accessibili a tutte le distribuzioni Linux.
Leggere attentamente le pagine di manuale dei comandi rpm e dpkg, e fare riferimento all' RPM HOWTO, alla Quick Guide to Red Hat's Package Manager del TFUG, e a The Debian Package Management Tools per informazioni più dettagliate.
Jan Hubicka ha scritto un
bellissimo pacchetto per i frattali, chiamato xaos. Sulla sua
home page sono
disponibili entrambi i pacchetti .tar.gz
e rpm
. In nome
della comodità proviamo la versione rpm, piuttosto che il pacchetto
tar.
Sfortunatamente, l'rpm di xaos non si installa. Due diverse versioni rpm fanno i capricci.
rpm -i --test XaoS-3.0-1.i386.rpm
error: failed dependencies:
libslang.so.0 is needed by XaoS-3.0-1
libpng.so.0 is needed by XaoS-3.0-1
libaa.so.1 is needed by XaoS-3.0-1
rpm -i --test xaos-3.0-8.i386.rpm
error: failed dependencies:
libaa.so.1 is needed by xaos-3.0-8
La cosa strana è che libslang.so.0
, libpng.so.0
,
e libaa.so.1
sono tutte presenti nella directory /usr/lib
del sistema usato. Gli rpm di xaos devono essere stati compilati
con delle versioni leggermente diverse di quelle librerie, anche se i
numeri di versione sono identici.
Come test, proviamo ad installare xaos-3.0-8.i386.rpm
con l'opzione
--nodeps per forzarne l'installazione. Provando ad eseguire
xaos si pianta.
xaos: error in loading shared libraries: xaos: undefined symbol: __fabsl
(errore nel caricamento delle librerie condivise, il simbolo __fabsl non è definito)
Cerchiamo testardamente di andare in fondo alla cosa. Lanciando ldd
sul binario di xaos, per trovare da quali librerie dipende, vediamo
che le librerie necessarie ci sono tutte. Lanciando nm sulla
libreria /usr/lib/libaa.so.1
, per vedere i suoi riferimenti
simbolici, ci accorgiamo che __fabsl manca davvero. Naturalmente
il riferimento che manca potrebbe non essere presente in una
qualsiasi delle altre librerie... Non c'è niente da fare, salvo
rimpiazzare una o più librerie.
Basta! Scarichiamo il pacchetto tar, XaoS-3.0.tar.gz
,
disponibile sul
sito ftp o reperibile dalla home page. Proviamo a compilarlo.
L'esecuzione di ./configure, make e infine (come root)
make install procede senza intoppi.
Questo è solo uno fra i tanti esempi di binari preimpacchettati che portano più problemi che vantaggi.
Secondo la pagina di manuale, "terminfo è un database che
descrive i terminali, usato da programmi orientati-allo-schermo...".
Esso definisce un generico insieme di sequenze di controllo
(codici di escape) usati per mostrare il testo sui terminali, e
rende possibile il supporto per differenti terminali hardware
senza la necessità di driver speciali. Le librerie terminfo
si trovano in /usr/share/terminfo
, sulle moderne distribuzioni
di Linux.
Il database terminfo ha ampiamente sostituito il più vecchio termcap ed il completamente obsoleto termlib. Ciò normalmente non ha nessuna attinenza con l'installazione dei programmi, eccetto quando si ha a che fare con un pacchetto che richiede termcap.
La maggior parte delle distribuzioni Linux ora usano terminfo, ma
ancora conservano le librerie termcap per compatibilità con
le applicazioni legacy (vedere /etc/termcap
). A volte c'è
uno speciale pacchetto di compatibilità che è necessario aver
installato per facilitare l'uso dei binari linkati con termcap. Raramente,
potrebbe essere necessario togliere il commento da una dichiarazione
#define termcap in un file sorgente. Controllate i file di
documentazione appropriati nella vostra distribuzione per informazioni a
tal riguardo.
In rarissimi casi, è necessario usare binari a.out, o perché il codice sorgente non è disponibile o perché, per una qualche ragione, non è possibile compilare nuovi binari ELF dal sorgente.
Come succede, le installazioni ELF hanno quasi sempre un completo
insieme di librerie a.out nella directory /usr/i486-linuxaout/lib
.
Lo schema di numerazione delle librerie a.out differisce da quello delle
ELF, evitando intelligentemente conflitti che potrebbero creare
confusione. I binari a.out dovrebbero perciò essere in grado di trovare
le giuste librerie in fase di esecuzione, ma ciò potrebbe non accadere
sempre.
Notate che il kernel necessita di avere il supporto per a.out, o
direttamente o come modulo caricabile. Potrebbe essere necessario
ricompilare il kernel per abilitare ciò. Inoltre, alcune distribuzioni
di Linux richiedono l'installazione di uno speciale pacchetto di
compatibilità, come xcompat
di Debian, per eseguire
applicazioni X a.out.
Jerry Smith ha scritto il comodissimo programma xrolodex alcuni anni fa. Esso usa le librerie Motif, ma fortunatamente è disponibile come binario linkato staticamente in formato a.out. Sfortunatamente, il sorgente necessita di numerosi aggiustamenti per essere ricompilato usando le librerie lesstif. Ancor più sfortunatamente, il binario a.out su di un sistema ELF va in bomba con il seguente messaggio d'errore.
xrolodex: can't load library '//lib/libX11.so.3'
No such library
(Traducendo: non è possibile caricare la libreria //lib/libX11.so.3;
non c'è nessuna libreria con quel nome)
Si dà il caso che ci sia una tale libreria, in
/usr/i486-linuxaout/lib
, ma xrolodex è incapace di trovarla in
fase di esecuzione. La soluzione semplice è di fornire un link
simbolico nella directory /lib
:
ln -s /usr/i486-linuxaout/lib/X11.so.3.1.0 libX11.so.3
Ne viene fuori che è necessario fornire link simili per le librerie libXt.so.3 e libc.so.4. Ciò deve essere fatto come root, naturalmente. Notate che dovrete essere assolutamente certi di non sovrascrivere o provocare conflitti di versione con librerie preesistenti. Fortunatamente, le nuove librerie ELF hanno numeri di versione più alti delle più vecchie a.out, per prevenire ed impedire proprio tali problemi.
Dopo aver creato i tre link, xrolodex funziona bene.
Il pacchetto xrolodex era originariamente pubblicato su Spectro, ma sembra che sia sparito da lì. Attualmente può essere scaricato da Sunsite come file sorgente [512k] in formato tar.Z.
Se xmkmf e/o make hanno funzionato senza problemi, potete passare alla prossima sezione. Tuttavia, nella "vita reale", poche cose vanno bene al primo tentativo. È in questi casi che la vostra intraprendenza viene messa alla prova.
Link error: -lX11:
No such file or directory
(Nessun file o directory con quel nome),
anche dopo che xmkmf è stato invocato. Ciò potrebbe significare
che il file Imake non è stato preparato correttamente.
Controllate che nella prima parte del Makefile ci siano delle righe
tipo:
LIB= -L/usr/X11/lib
INCLUDE= -I/usr/X11/include/X11
LIBS= -lX11 -lc -lm
Le opzioni -L
e -I
dicono al compilatore e al linker
dove cercare i file library e include, rispettivamente.
In questo esempio, le librerie di X11 dovrebbero essere nella
directory /usr/X11/lib
, e i file include di X11 dovrebbero
essere nella directory /usr/X11/include/X11
. Se sulla vostra
macchina non è così, apportate i cambiamenti necessari al
Makefile e riprovate il make.
/tmp/cca011551.o(.text+0x11): undefined reference to `cos'
La soluzione è di linkargli esplicitamente la libreria
matematica
, aggiungendo un -lm al flag LIB o
LIBS nel Makefile
(vedere esempio precedente).
make -DUseInstalled -I/usr/X386/lib/X11/config
Che è una specie di xmkmf ridotto all'osso.
# ldconfig aggiorna i link simbolici alla libreria condivisa.
Questo potrebbe non essere necessario.
Makefile
usano degli alias non riconosciuti per
le librerie presenti nel vostro sistema. Per esempio, il binario
potrebbe richiedere libX11.so.6
, ma in /usr/X11R6/lib
non c'è nessun file o link con quel nome. Però, c'è
un libX11.so.6.1
. La soluzione è di fare un ln -s
/usr/X11R6/lib/libX11.so.6.1 /usr/X11R6/lib/libX11.so.6, come root.
Ciò potrebbe dover essere seguito da un ldconfig.
librerie R5
sono chiamate libX11.so.3.1.0
,
libXaw.so.3.1.0
, e libXt.so.3.1.0
. Di solito vi servono
dei link, come libX11.so.3 -> libX11.so.3.1.0. Forse il
software avrà bisogno anche di un link del tipo libX11.so ->
libX11.so.3.1.0. Naturalmente, per creare un link "mancante", usate
il comando ln -s libX11.so.3.1.0 libX11.so, come root.
libc
in versione 5.4.4 o successiva. Anche il più recente
StarOffice 5.0 non girerà nemmeno dopo l'installazione con
le nuove librerie glibc 2.1
. Fortunatamente, il più nuovo
StarOffice 5.1 risolve tali problemi. Se avete una versione di
StarOffice più vecchia, potreste dover copiare, da root, una
o più librerie nelle directory appropriate, rimuovere le vecchie
librerie, poi ripristinare i link simbolici (controllate l'ultima versione
dello StarOffice miniHOWTO
(tradotto)
per maggiori informazioni su questo argomento).
Attenzione: Usate molta cautela nel fare ciò, poiché potreste
rendere non funzionante il vostro sistema se combinate dei pasticci.
Potete trovare le librerie più aggiornate presso
Sunsite.
No such
file or directory
come messaggio d'errore. In questo caso, controllate
i permessi del file per assicurarvi che il file sia eseguibile e
controllate l'intestazione del file per accertarvi che la shell o il programma
invocato dallo script sia nel posto specificato.
Per esempio, lo script potrebbe iniziare con:
#!/usr/local/bin/perl
Se infatti Perl è installato nella vostra directory
/usr/bin
invece che nella /usr/local/bin
, allora lo
script non funzionerà. Ci sono due modi per correggere
questo problema. L'intestazione del file script può essere cambiata in
#!/usr/bin/perl
, o si può aggiungere un link simbolico alla
giusta directory, ln -s /usr/bin/perl /usr/local/bin/perl.
Quando un pacchetto richiede, per la compilazione, delle librerie non
presenti sul vostro sistema, ciò provocherà errori in fase di link
(errori tipo undefined reference
- riferimento non definito).
Le librerie potrebbero essere del tipo costoso (proprietà di qualcuno)
o difficili da trovare per qualche altra ragione. In tal caso,
ottenere un binario linkato staticamente dall'autore del pacchetto,
o da un gruppo utenti Linux, può essere il modo più facile per
effettuare delle riparazioni.
libc 6 / glibc 2
dalla più vecchia libc 5
. I binari
precompilati che funzionavano con la vecchia libreria potrebbero andare
in bomba se avete aggiornato la libreria. La soluzione è o di
ricompilare le applicazioni dal sorgente o di ottenere dei nuovi binari
precompilati. Se state aggiornando il vostro sistema a libc 6
e
riscontrate dei problemi, fate riferimento al Glibc 2 HOWTO
(tradotto) di Eric Green.
Notate che ci sono delle piccole incompatibilità fra le versioni minori
di glibc
, così un binario compilato con glibc 2.1
potrebbe non funzionare con glibc 2.0
e vice versa.
Makefile
. Ciò abilita le caratteristiche
supplementari di gcc, quelle non-ANSI in particolare, e permette la
compilazione di pacchetti che richiedono tali estensioni. (Grazie a
Sebastien Blondeel per questa indicazione).
Avvertimento: Un programma con setuid impostato come root può porre un rischio di sicurezza per il sistema. Il programma gira con privilegi di root ed ha così il potenziale di causare danni significativi. Accertatevi di sapere cosa fa il programma, guardando il sorgente se possibile, prima di impostare il bit setuid.
Potreste voler esaminare il Makefile
per accertarvi che vengano
usate le migliori opzioni di compilazione possibili per il vostro sistema.
Per esempio, impostando il flag -O2 si sceglie il più alto
livello di ottimizzazione ed il flag -fomit-frame-pointer provoca
la generazione di un binario più piccolo (sebbene il debugging
sarà così disabilitato). Però non giocherellate con
tali opzioni, a meno che non sappiate cosa state facendo, e comunque non
prima di aver ottenuto un binario funzionante.
Nella mia esperienza, forse il 25% delle applicazioni supera la
fase di compilazione così com'è, senza problemi. Un altro 50%,
o giù di lì, può essere "persuaso" a farlo con uno sforzo
variabile da lieve ad erculeo. Questo significa che ancora un numero
significativo di pacchetti non ce la faranno, non importa cosa si faccia.
In tal caso, i binari Intel ELF
e/o a.out
di questi
potrebbero essere trovati presso
Sunsite o presso
TSX-11 archive.
Red Hat e
Debian hanno vasti archivi di binari
preimpacchettati della maggior parte dei più popolari software per Linux.
Forse l'autore del software può fornire i binari compilati per il
vostro particolare tipo di macchina.
Notate che se ottenete i binari precompilati, dovrete controllarne la
compatibilità con il vostro sistema:
I binari devono girare sul vostro hardware (i.e., Intel x86).
I binari devono essere compatibili con il vostro kernel (i.e., a.out o ELF).
Le vostre librerie devono essere aggiornate.
Il vostro sistema deve avere le appropriate utilità di
installazione (rpm o deb)
.Se tutto il resto non funziona, potete trovare aiuto nei newsgroup appropriati, come comp.os.linux.x o comp.os.linux.development.
Se non funziona proprio niente, almeno avrete fatto del vostro meglio, ed avrete imparato molto.
Leggete la documentazione del pacchetto software per stabilire se certe
variabili d'ambiente hanno bisogno di impostazioni (in .bashrc
o .cshrc
) e se i file .Xdefaults
e .Xresources
hanno bisogno di essere personalizzati.
Potrebbe esserci un file di default per l'applicazione, di solito chiamato
Xprog.ad
nella distribuzione Xprog originale. Se è
così, editate il file Xprog.ad per adattarlo alla vostra macchina,
poi cambiategli nome (mv) in Xprog ed installatelo nella directory
/usr/lib/X11/app-defaults
come root. Un insuccesso nel
fare ciò potrebbe far sì che il software si comporti stranamente
o addirittura si rifiuti di girare.
La maggior parte dei pacchetti software comprendono una o più pagine
di manuale preformattate. Come root, copiate il file Xprog.man
nella directory /usr/man
, /usr/local/man
, o
/usr/X11R6/man
appropriata (man1
- man9
), e
cambiategli nome come del caso. Per esempio, se Xprog.man finisce in
/usr/man/man4, dovrebbe essere rinominato Xprog.4 (mv Xprog.man Xprog.4).
Per convenzione, i comandi utente vanno in man1
, i giochi
in man6
, ed i pacchetti di amministrazione in man8
(vedere la documentazione di man per maggiori dettagli).
Naturalmente, se vi va, potete discostarvi dalla convenzione, sul
vostro sistema.
Alcuni, pochi, pacchetti non installeranno i binari nelle appropriate
directory di sistema, cioè essi non hanno l'opzione install
nel Makefile
. In tal caso, potete installare manualmente i binari
copiandoli nell'appropriata directory di sistema, /usr/bin
,
/usr/local/bin
o /usr/X11R6/bin
, come root,
naturalmente. Notate che /usr/local/bin
è la directory
da preferire per i binari che non fanno parte della distribuzione di base
di Linux.
Alcune o tutte le suddette procedure ,nella maggior parte dei casi,
dovrebbero essere effettuate automaticamente con un make install,
e forse un make install.man o un make install_man. Se
è così, i file di documentazione README
o
INSTALL
lo specificheranno.
L'Xscrabble
di Matt Chapman aveva l'aria di essere un programma
che sarebbe stato interessante avere, poiché si dà il caso che
io sia un accanito giocatore di ScrabbleTM
. Lo scaricai, decompressi,
e lo compilai seguendo la procedura nel file README:
xmkmf
make Makefiles
make includes
make
Ovviamente non funzionò...
gcc -o xscrab -O2 -O -L/usr/X11R6/lib
init.o xinit.o misc.o moves.o cmove.o main.o xutils.o mess.o popup.o
widgets.o display.o user.o CircPerc.o
-lXaw -lXmu -lXExExt -lXext -lX11 -lXt -lSM -lICE -lXExExt -lXext -lX11
-lXpm -L../Xc -lXc
BarGraf.o(.text+0xe7): undefined reference to `XtAddConverter'
BarGraf.o(.text+0x29a): undefined reference to `XSetClipMask'
BarGraf.o(.text+0x2ff): undefined reference to `XSetClipRectangles'
BarGraf.o(.text+0x375): undefined reference to `XDrawString'
BarGraf.o(.text+0x3e7): undefined reference to `XDrawLine'
etc.
etc.
etc...
Indagai su ciò nel newsgroup comp.os.linux.x, e qualcuno gentilmente mi indicò che, apparentemente, le librerie Xt, Xaw, Xmu, e X11 non erano state trovate nella fase di link. Hmmm...
C'erano due Makefile principali, e quello nella directory src
catturò la mia attenzione. Una linea nel Makefile definita LOCAL_LIBS:
LOCAL_LIBS = $(XAWLIB) $(XMULIB) $(XTOOLLIB) $(XLIB). Qui c'erano i
riferimenti alle librerie non trovate dal linker.
Cercando il successivo riferimento a LOCAL_LIBS, vidi alla linea 495 di quel Makefile:
$(CCLINK) -o $@ $(LDOPTIONS) $(OBJS) $(LOCAL_LIBS) $(LDLIBS)
$(EXTRA_LOAD_FLAGS)
Ora, cos'erano queste LDLIBS?
LDLIBS = $(LDPOSTLIB) $(THREADS_LIBS) $(SYS_LIBRARIES)
$(EXTRA_LIBRARIES)
Le SYS_LIBRARIES erano:
SYS_LIBRARIES = -lXpm -L../Xc -lXc
Sì! Le librerie mancanti erano qui.
È possibile che il linker avesse bisogno di vedere le LDLIBS prima delle LOCAL_LIBS... Così, la prima cosa da provare era di modificare il Makefile invertendo le $(LOCAL_LIBS) e le $(LDLIBS) alla linea 495, dunque ora si dovrebbe leggere:
$(CCLINK) -o $@ $(LDOPTIONS) $(OBJS) $(LDLIBS) $(LOCAL_LIBS)
$(EXTRA_LOAD_FLAGS) ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Provai ad eseguire di nuovo make con i suddetti cambiamenti e, guarda un po', stavolta funzionò. Xscrabble aveva ancora bisogno di qualche aggiustamento ed una messa a punto, ovviamente, come cambiare nome al dizionario e togliere il commento da qualche statement assert in uno dei file sorgenti, ma da allora mi ha fornito svariate ore di divertimento.
[Notate che ora è disponibile una nuova versione di Xscrabble in formato rpm, e questa si installa senza problemi.]
Potete contattare Matt Chapman via e-mail, e scaricare Xscrabble dalla sua home page.
Scrabble è un marchio registrato dalla Milton Bradley Co., Inc.
Questo esempio pone un problema più facile. Il programma
xloadimage sembrava un'utile aggiunta alla mia raccolta di attrezzi
grafici. Ho copiato il file xloadi41.gz
direttamente dalla directory
sorgente sul CD, allegato all'eccellente libro
X User Tools, di Mui e Quercia. Come c'era da aspettarsi,
tar xzvf estrae i file dall'archivio. Il make, però,
fornisce un antipatico errore e termina.
gcc -c -O -fstrength-reduce -finline-functions -fforce-mem
-fforce-addr -DSYSV -I/usr/X11R6/include
-DSYSPATHFILE=\"/usr/lib/X11/Xloadimage\" mcidas.c
In file included from /usr/include/stdlib.h:32,
from image.h:23,
from xloadimage.h:15,
from mcidas.c:7:
/usr/lib/gcc-lib/i486-linux/2.6.3/include/stddef.h:215:
conflicting types for `wchar_t'
/usr/X11R6/include/X11/Xlib.h:74: previous declaration of
`wchar_t'
make[1]: *** [mcidas.o] Error 1
make[1]: Leaving directory
`/home/thegrendel/tst/xloadimage.4.1'
make: *** [default] Error 2
Il messaggio d'errore contiene l'indizio essenziale.
Guardando il file image.h
, linea 23...
#include <stdlib.h>
Aha, da qualche parte nel sorgente per xloadimage,
wchar_t è stato ridefinito in modo diverso da quanto
specificato nel file include standard, stdlib.h
. Proviamo
prima a commentare la linea 23 in image.h
, che forse
l'include stdlib.h, dopo tutto, non è necessario.
A questo punto, la fase di compilazione procede senza nessun errore fatale. Il pacchetto xloadimage funziona correttamente ora.
Questo esempio richiede qualche conoscenza di programmazione in C. La maggioranza del software UNIX/Linux è scritta in C, e imparare almeno un po' di C sarebbe certamente un bene per chiunque sia seriamente interessato all'installazione del software.
Il famoso programma fortune mostra una frase umoristica, un "biscotto della fortuna", ad ogni avvio di Linux. Sfortunatamente (il gioco di parole è intenzionale), provare a costruir fortuna su una distribuzione Red Hat con un kernel 2.0.30 provoca degli errori fatali. (N.d.T: in inglese "build fortune" significa sia "far fortuna" che "compilare il programma fortune")
~/fortune# make all
gcc -O2 -Wall -fomit-frame-pointer -pipe -c fortune.c -o
fortune.o
fortune.c: In function `add_dir':
fortune.c:551: structure has no member named `d_namlen'
fortune.c:553: structure has no member named `d_namlen'
make[1]: *** [fortune.o] Error 1
make[1]: Leaving directory `/home/thegrendel/for/fortune/fortune'
make: *** [fortune-bin] Error 2
Guardando fortune.c
, le linee pertinenti sono queste.
if (dirent->d_namlen == 0)
continue;
name = copy(dirent->d_name, dirent->d_namlen);
Ci serve di trovare la struttura dirent
, ma essa non
è dichiarata nel file fortune.c, e nemmeno un grep
dirent la mostra in nessuno dei file sorgenti. Tuttavia, all'inizio
di fortune.c, c'è la seguente linea.
#include <dirent.h>
Questo sembra essere un file include per la libreria di sistema, perciò,
il posto più logico dove cercare dirent.h è in
/usr/include. Effettivamente esiste un file dirent.h in
/usr/include, ma quel file non contiene la dichiarazione della
struttura dirent
. C'è, però, un riferimento ad un altro
file dirent.h.
#include <linux/dirent.h>
Alla fine, andando in /usr/include/linux/dirent.h, troviamo la dichiarazione della struttura che ci serve.
struct dirent {
long d_ino;
__kernel_off_t d_off;
unsigned short d_reclen;
char d_name[256]; /* We must not include
limits.h! */
};
Poco ma sicuro, la dichiarazione della struttura non contiene nessun d_namelen, ma ci sono un paio di "candidati" come suo equivalente. Il più probabile di essi è d_reclen, poiché questo membro della struttura probabilmente rappresenta la lunghezza di qualcosa ed è uno short integer. L'altra possibilità, d_ino, potrebbe essere un numero di inode, a giudicare dal suo nome e tipo. A quanto pare, stiamo probabilmente trattando con una struttura di "registrazione delle directory", e questi elementi rappresentano gli attributi di un file, il suo nome, il suo inode, e la sua lunghezza (in blocchi). Ciò sembrerebbe convalidare la nostra scelta.
Editiamo il file fortune.c
e cambiamo i due riferimenti alle
linee 551 e 553 da d_namelen a d_reclen. Proviamo di
nuovo un make all. Successo. La compilazione finisce senza
errori. Ora possiamo prenderci i nostri "brividi a buon mercato" da fortune.
Ecco il vecchio canuto gioco Hearts, scritto per i sistemi UNIX da Bob Ankeney negli anni '80, rivisto nel 1992 da Mike Yang, ed attualmente mantenuto da Jonathan Badger. Il suo predecessore era un ancor più vecchio programma Pascal di Don Backus della Oregon Software, poi aggiornato da Jeff Hemmerling. Originariamente pensato come client per più giocatori, funziona bene anche per un solo giocatore contro avversari gestiti dal computer. La grafica è bella, benché il gioco manchi di caratteristiche più sofisticate e i giocatori computerizzati non siano molto forti. Nonostante tutto, sembra essere il solo Hearts decente disponibile per macchine UNIX e Linux ancora oggi.
A causa della sua stirpe ed età, questo pacchetto è particolarmente difficile da compilare su di un sistema Linux. Richiede la soluzione di una lunga e sconcertante serie di puzzle. È un esercizio di pazienza e determinazione.
Prima di iniziare, accertatevi di avere le librerie motif
o
le lesstif
installate.
xmkmf
make
client.c: In function `read_card':
client.c:430: `_tty' undeclared (first use in this function)
client.c:430: (Each undeclared identifier is reported only once
client.c:430: for each function it appears in.)
client.c: In function `scan':
client.c:685: `_tty' undeclared (first use in this function)
make: *** [client.o] Error 1
Questi sono i colpevoli nel file client.c
:
#ifndef SYSV
(buf[2] != _tty.sg_erase) && (buf[2] != _tty.sg_kill)) {
#else
(buf[2] != CERASE) && (buf[2] != CKILL)) {
#endif
client.c
, aggiungiamo
#define SYSV
alla linea 39. Ciò bypasserà il riferimento a _tty.
make
client.c:41: sys/termio.h: No such file or directory
make: *** [client.o] Error 1
Il file include termio.h
è nella directory /usr/include
su di un sistema Linux, invece che nella /usr/include/sys
,
come era sulle vecchie macchine UNIX. Perciò, cambiamo la linea 41 di
client.c
da
#include <sys/termio.h>
a
#include <termio.h>
make
gcc -o hearts -g -L/usr/X11R6/lib client.o hearts.o select.o connect.o
sockio.o start_dist.o -lcurses -ltermlib
/usr/bin/ld: cannot open -ltermlib: No such file or directory
collect2: ld returned 1 exit status
make: *** [hearts] Error 1
Le moderne distribuzioni Linux usano il database terminfo e/o termcap, piuttosto che l'obsoleto termlib.
Editiamo il Makefile
.
Linea 655:
CURSES_LIBRARIES = -lcurses -ltermlib
cambiamola in:
CURSES_LIBRARIES = -lcurses -ltermcap
make
gcc -o xmhearts -g -L/usr/X11R6/lib xmclient.o hearts.o select.o
connect.o sockio.o start_dist.o gfx.o -lXm_s -lXt -lSM -lICE -lXext -lX11
-lPW
/usr/bin/ld: cannot open -lXm_s: No such file or directory
collect2: ld returned 1 exit status
La principale libreria lesstif è libXm
,
piuttosto che libXm_s
. Quindi, editiamo il Makefile
.
Nella linea 653:
XMLIB = -lXm_s $(XTOOLLIB) $(XLIB) -lPW
cambia in:
XMLIB = -lXm $(XTOOLLIB) $(XLIB) -lPW
make
gcc -o xmhearts -g -L/usr/X11R6/lib xmclient.o hearts.o select.o
connect.o sockio.o start_dist.o gfx.o -lXm -lXt -lSM -lICE -lXext -lX11 -lPW
/usr/bin/ld: cannot open -lPW: No such file or directory
collect2: ld returned 1 exit status
make: *** [xmhearts] Error 1
Raduniamo i soliti sospetti.
Non c'è nessuna libreria PW
. Editiamo il Makefile
.
Linea 653:
XMLIB = -lXm $(XTOOLLIB) $(XLIB) -lPW
cambia in:
XMLIB = -lXm $(XTOOLLIB) $(XLIB) -lPEX5
(La libreria PEX5
è quella più simile alla PW
.)
make
rm -f xmhearts
gcc -o xmhearts -g -L/usr/X11R6/lib xmclient.o hearts.o select.o
connect.o sockio.o start_dist.o gfx.o -lXm -lXt -lSM -lICE -lXext -lX11 -lPEX5
Il make
finalmente funziona (hurra!)
Installazione:
Come root,
[root@localhost hearts]# make install
install -c -s hearts /usr/X11R6/bin/hearts
install -c -s xmhearts /usr/X11R6/bin/xmhearts
install -c -s xawhearts /usr/X11R6/bin/xawhearts
install in . done
Esecuzione di prova:
rehash
(Stiamo eseguendo la shell tcsh
.)
xmhearts
localhost:~/% xmhearts
Can't invoke distributor!
Dal file README
nel pacchetto hearts
:
Put heartsd, hearts_dist, and hearts.instr in the HEARTSLIB
directory defined in local.h and make them world-accessible.
(Traducendo: Mettete Heartsd, hearts_dist, e hearts.instr nella
directory HEARTSLIB definita in local.h e rendeteli accessibili
a chiunque)
Dal file local.h
:
/* where the distributor, dealer and instructions live */
#define HEARTSLIB "/usr/local/lib/hearts"
Questo è un classico caso: RTFM (leggete il fottuto manuale).
Come root,
cd /usr/local/lib
mkdir hearts
cd !$
Copiamo i file di distributor
in questa directory.
cp /home/username/hearts/heartsd .
cp /home/username/hearts/hearts_dist .
cp /home/username/hearts/hearts.instr .
Lanciamo un'altra esecuzione di prova.
xmhearts
Qualche volta funziona, ma il più delle volte si pianta con un
messaggio dealer died!
.
Il "distributor" e il "dealer" esaminano le porte hardware. Dovremmo perciò sospettare che quei programmi abbiano bisogno dei privilegi di root.
Proviamo, come root,
chmod u+s /usr/local/lib/heartsd
chmod u+s /usr/local/lib/hearts_dist
(Osserviamo che, come discusso precedentemente, i binari suid possono creare dei buchi di sicurezza.)
xmhearts
Alla fine funziona!
Hearts è disponibile da
Sunsite.
Bullwinkle: Hey Rocky, guarda, tiro fuori un coniglio dal cappello.
Rocky: Ma quel trucco non funziona mai.
Bullwinkle: Questa volta sì.
Voilà!
Beh, ci sono andato vicino.
Rocky: Ed ora è il momento di un altro effetto speciale.
--- "Rocky e i suoi amici"
XmDipmon è un'elegante applicazioncina che mostra un bottone indicante lo stato di una connessione Internet. Lampeggia e suona quando la connessione si interrompe, come troppo spesso accade nelle linee telefoniche di campagna. Sfortunatamente XmDipmon funziona solo con dip, il che lo rende inutile per tutti quelli, la maggioranza, che usano chat per collegarsi.
Compilare XmDipmon non è un problema. XmDipmon si linka con le librerie Motif, ma può essere compilato, e funziona bene, anche con le Lesstif. La sfida è di modificare il pacchetto per farlo funzionare con chat. Ciò in pratica richiede di armeggiare con il codice sorgente ed è quindi necessario avere delle conoscenze di programmazione.
"Quando xmdipmon parte, cerca un file chiamato /etc/dip.pid
(potete fargli cercare un altro file usando l'opzione -pidfile
dalla riga di comando). Tale file contiente il PID del demone
dip (dip stesso si pone in modo demone, dopo che ha stabilito
una connessione)."
--- dal file README di XmDipmon
Usando l'opzione -pidfile, il programma può essere indotto, al suo avvio, a cercare un altro file, uno che esista solo dopo che un login con chat è stato effettuato con successo. Il candidato più ovvio è il file di lock del modem. Potremmo quindi provare a lanciare il programma con xmdipmon -pidfile /var/lock/LCK..ttyS3 (assumendo che il modem sia sulla porta com numero 4, ttyS3). Comunque così si risolve solo una parte del problema. Il programma osserva continuamente il demone dip e dobbiamo invece fare in modo che controlli un processo che sia associato a chat o a ppp.
C'è un solo file sorgente e fortunatamente è ben commentato.
Scorrendo il file xmdipmon.c
troviamo la funzione
getProcFile, la cui descrizione, all'inizio, riporta quanto segue:
/*****
* Name: getProcFile
* Return Type: Boolean
* Description: tries to open the /proc entry as read from the dip pid file.
<snip>
*****/
(Traducendo la descrizione: prova ad aprire l'elemento di /proc secondo quanto letto dal file pid di dip)
Siamo sulla pista giusta. Guardando nel corpo della funzione...
/* we watch the status of the real dip deamon */
sprintf(buf, "/proc/%i/status", pid);
procfile = (String)XtMalloc(strlen(buf)*sizeof(char)+1);
strcpy(procfile, buf);
procfile[strlen(buf)] = '\0';
Il colpevole è la linea 2383:
sprintf(buf, "/proc/%i/status", pid);
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Questo controlla se il processo demone dip è in esecuzione. Quindi, come possiamo cambiarlo in modo che controlli il demone pppd?
Guardando sulla pagina di manuale di pppd:
FILES
/var/run/pppn.pid (BSD o Linux), /etc/ppp/pppn.pid (altri)
Identificatore del processo (Process-ID) di pppd sull'unità
d'interfaccia n di ppp.
Cambiamo la linea 2383 di xmdipmon.c
in:
sprintf(buf, "/var/run/ppp0.pid" );
Ricompiliamo il pacchetto così modificato. Nessun problema con la
compilazione. Ora proviamolo con il nuovo argomento della riga di comando.
Funziona che è un incanto. Il bottoncino blu indica quando è
stata stabilita una connessione ppp
con l'ISP e lampeggia e suona
quando la connessione si interrompe. Ora abbiamo un monitor per
chat pienamente funzionante.
XmDipmon può essere scaricato da Ripley Linux Tools.
Ora che siete ansiosi di usare le conoscenze appena acquisite, per aggiungere delle utilità ed altre chicche al vostro sistema, potete trovarle online alla Linux Applications and Utilities Page, o in una delle raccolte su CD ROM, a prezzo molto ragionevole, di Red Hat, InfoMagic, Linux Systems Labs, Cheap Bytes, e altri.
Un vasto magazzino di codice sorgente è comp sources UNIX archive.
Molto codice sorgente UNIX viene pubblicato nel newsgroup alt.sources. Se state cercando particolari pacchetti di codice sorgente, potete chiedere sullo specifico newsgroup alt.sources.wanted. Un altro buon posto dove cercare è il newsgroup comp.os.linux.announce. Per entrare nella mailing list Unix sources, mandate alla stessa un messaggio subscribe.
Gli archivi del newsgroup alt.sources si trovano presso i seguenti siti ftp:
Riassumendo, la perseveranza fa tutta la differenza (e un'alta soglia alla frustrazione certamente aiuta). Come in tutti gli sforzi, imparare dagli errori è criticamente importante. Ogni passo falso, ogni fallimento, contribuisce alla costruzione della conoscenza che conduce alla padronanza dell'arte della compilazione del software.
BORLAND C++ TOOLS AND UTILITIES GUIDE, Borland International, 1992,
pp. 9-42.
[Uno dei manuali distribuiti col Borland C++, ver. 3.1. Dà una
abbastanza buona introduzione alla sintassi e ai concetti di make,
usando l'implementazione limitata al DOS della Borland.]
DuBois, Paul: SOFTWARE PORTABILITY WITH IMAKE, O'Reilly and Associates,
1996, ISBN 1-56592-226-3.
[È ritenuto il riferimento definitivo per imake, sebbene non lo
avevo a disposizione durante la scrittura di questo articolo.]
Frisch, Aeleen: ESSENTIAL SYSTEM ADMINISTRATION (2nd ed.), O'Reilly and
Associates, 1995, ISBN 1-56592-127-5.
[Questo, altrimenti ottimo, manuale per amministratori di sistema tratta
solo in modo sommario la compilazione del software.]
Hekman, Jessica: LINUX IN A NUTSHELL, O'Reilly and Associates, 1997, ISBN
1-56592-167-4.
[Un buon riferimento globale ai comandi di Linux.]
Lehey, Greg: PORTING UNIX SOFTWARE, O'Reilly and Associates, 1995, ISBN
1-56592-126-7.
Mayer, Herbert G.: ADVANCED C PROGRAMMING ON THE IBM PC, Windcrest Books,
1989, ISBN 0-8306-9363-7.
[Un libro zeppo di idee per programmatori C medi ed esperti. Superba
trattazione degli algoritmi, ricercatezza di linguaggio e anche
divertimento. Sfortunatamente non viene più stampato.]
Mui, Linda and Valerie Quercia: X USER TOOLS, O'Reilly and Associates,
1994, ISBN 1-56592-019-8, pp. 734-760.
Oram, Andrew and Steve Talbott: MANAGING PROJECTS WITH MAKE, O'Reilly
and Associates, 1991, ISBN 0-937175-90-0.
Peek, Jerry and Tim O'Reilly and Mike Loukides: UNIX POWER TOOLS,
O'Reilly and Associates / Random House, 1997, ISBN 1-56592-260-3.
[Una meravigliosa fonte di idee, e tonnellate di utilità che potete
compilare dal codice sorgente, usando i metodi discussi in questo
articolo.]
Stallman, Richard M. and Roland McGrath: GNU MAKE, Free Software
Foundation, 1995, ISBN 1-882114-78-7.
[Da leggere]
Waite, Mitchell, Stephen Prata, and Donald Martin: C PRIMER PLUS, Waite Group
Press, ISBN 0-672-22090-3,.
[Probabilmente la miglior introduzione alla programmazione in C. Vasta
copertura per un "primo libro". Sono ora disponibili nuove edizioni.]
Welsh, Matt and Lar Kaufman: RUNNING LINUX, O'Reilly and Associates,
1996, ISBN 1-56592-151-8.
[Tuttora il miglior riferimento globale per Linux, sebbene manchi
di profondità in alcune aree.]
Le pagine di manuale di dpkg, gcc, gzip, imake, ldconfig, ldd, make, nm,
patch, rpm, shar, strip, tar, termcap, terminfo, e xmkmf.
Il BZIP2 HOWTO (tradotto), di David Fetter.
Il Glibc2 HOWTO (tradotto), di Eric Green
Il LINUX ELF HOWTO (tradotto), di Daniel Barlow.
L'RPM HOWTO, di Donnie Barnes.
Lo StarOffice miniHOWTO, di Matthew Borowski.
[Questi HOWTO dovrebbero trovarsi nella directory /usr/doc/HOWTO
o
nella /usr/doc/HOWTO/mini
sul vostro sistema. Versioni aggiornate
sono disponibili in formato testo, HTML e SGML nel
sito LDP, e di solito
nei siti dei rispettivi autori.]
Traduzioni: Per la versione in italiano degli HOWTO con l'indicazione "(tradotto)" vedere: www.pluto.linux.it/ildp/HOWTO/HOWTO-INDEX-3.html. Per altra documentazione su Linux in italiano, compresi eventuali HOWTO e/o mini-HOWTO citati ma al momento non ancora tradotti, si veda il sito ILDP.
L'autore di questo HOWTO desidera ringraziare le seguenti persone per gli utili suggerimenti, le correzioni e l'incoraggiamento.
Gloria va anche a quelle brave persone che hanno tradotto questo HOWTO in italiano e giapponese.
E naturalmente, ringraziamenti, lodi, benedizioni e osanna a Greg Hankins e Tim Bynum del Linux Documentation Project.